IL TRIBUNALE Ritenuto che il p.m., nell'ambito del procedimento n. 531/99 r.g.n.r., 53/99 r. g.i.p., avanzava richiesta di applicazione di misura interdittiva della sospensione dall'esercizio dai pubblici uffici nei confronti di Cacciola Giuseppe, nato a Rosarno (Reggio Calabria), il 23 agosto 1946, indagato per il reato di cui agli artt. 81 c.p.v., 323/2 c.p. nella qualita' di funzionario responsabile del reparto scuole secondarie di secondo grado del Provveditorato agli studi di Reggio Calabria; Rilevato che la norma del codice di rito che sancisce la possibilita' di applicare la misura cautelare impone che il provvedimento del giudice sulla richiesta del p.m., debba essere preceduto, sulla base della legge del 16 luglio 1997, n. 234, dall'interrogatorio degli indagati secondo le modalita' previste dagli artt. 64 e 65 c.p.p.; Ritenuto che, a giudizio di questo g.i.p. la norma in questione determina, nella sua applicazione pratica, una sostanziale disparita' di trattamento rispetto a tutte le altre ipotesi previste dal codice di rito relative all'applicazione di misure interdittive, posto che l'adempimento imposto al giudice procedente nei confronti dei pubblici ufficiali o incaricati del pubblico servizio non viene previsto nel caso di sospensione dall'esercizio di attivita' imprenditoriali e professionali o dalla potesta' su figli minori; Ritenuto che non si comprende quale sia la ratio giustificativa del predetto adempimento nella misura in cui questo e' stato riservato solo ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio, posto che lo strumento dell'interrogatorio, ove debba essere inteso, (e non puo' che essere inteso in tal modo), a garantire l'indagato fornendogli la possibilita' di indicare al giudice gli elementi a sua discolpa, riveste natura di strumento processuale a tutela di un interesse generale della categoria degli indagati raggiunti da richiesta di misura cautelare, e quindi dovrebbe essere garantito ad ogni soggetto nei cui confronti si avanza una richiesta di misura interdittiva, e non appannaggio esclusivo della categoria indicata nell'art. 289 c.p.p.; Rilevato, di contro, che per tutte le altre misure cautelari personali la regola vigente posta a tutela dell'esigenza esposta, comporta la collocazione dell'interrogatorio successivamente all'adozione del provvedimento, e che lo stesso, inserito nel contesto temporale indicato nell'art. 289 c.p.p., determina disarmonia fra le parti del processo; Considerato che: a) la contestazione dei singoli addebiti e degli elementi di prova che hanno supponato il provvedimento costituiscono atti che sono gia' a conoscenza dell'indagato perche' trasfusi nel titolo cautelare, mentre invece, nel caso in cui l'interrogatorio venisse adottato prima della sua emissione, la segretezza degli atti di indagine non sarebbe piu' tutelata; b) imporre al g.i.p. di procedere all'espletamento del mezzo istruttorio comporta che l'indagato viene messo in condizioni di sapere che nei suoi confronti pende una richiesta di applicazione di misura cautelare, per cui, se e' vero che anche per le interdittive si presenta il problema della tutela delle esigenze cautelari di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 274 c.p.p., l'adempimento imposto aumenta in via esponenziale le possibilita' che costui possa, nel periodo ricompreso fra il ricevimento dell'avviso dell'udienza camerale e l'effettiva eventuale emissione del provvedimento, adoperarsi per inquinamenti probatori, continuare nella reiterazione del reato, o rendersi non reperibile, finendo col vanificare sostanzialmente le finalita' che la misura richiesta si prefigge di raggiungere. L'attribuzione dell'obbligo di interrogare fatta al g.i.p. nei termini anzidetti determina quindi un effettivo squilibrio fra le parti perche' si mette l'indagato in condizione di conoscere in anticipo la determinazione del p.m., venendosi cosi' ad introdurre nel sistema processuale un elemento di pariteticita' in un settore per il quale non e' logicamente pensabile una condizione di parita' fra le parti. Infatti, se il potere di incidere sulla liberta' dei consociati attraverso provvedimenti coercitivi o interdittivi, e' stato conferito dal legislatore dell'89 al p.m. e al g.i.p. in via esclusiva, senza contraddittorio fra le parti, cio' vuol dire che in tale settore sono state ritenute prevalenti, com'e' doveroso che sia, sulle esigenze di contraddittorio, quelle attinenti alla salvaguardia di interessi della collettivita', per cui per tale fase e' evidente che il legislatore non ha inteso garantire pari posizione alle parti. Orbene, se da un lato si deve riconoscere che introdurre la previsione dell'interrogatorio prima dell'emissione del provvedimento cautelare potrebbe far pensare ad un riequilibrio fra le parti del processo, a ben intendere va rilevato che trattasi della realizzazione di una parita' non prevista dal sistema, che non costituisce principio generale del processo penale, che, lo si deve ribadire, in materia cautelare non potra' mai sussistere perche' la potesta' di attivare in capo al g.i.p. l'esercizio del potere coercitivo e' facolta' che non puo' prevedere alcun potere oppositivo idoneo ad inibire l'azione in capo alla controparte. Infatti solo attraverso tale cautela e' possibile assicurare la salvaguardia delle esigenze di cui si e' dianzi discusso, e cio' nel rispetto di un'ottica che deve privilegiare, e non puo' non privilegiare, la protezione di interessi di prevenzione speciale e di salvaguardia di beni rilevanti della collettivita', in nome dei quali appare giustificata la traslazione in un momento successivo dell'intervento della difesa, investita, successivamente all'emissione del titolo, di strumenti idonei a contrastare l'azione del p.m., idonei ad assicurarne la caducazione, ove gli organi di controllo non verifichino la sussistenza delle condizioni per la sua legittima emissione. E' conferma di tale argomentazione la circostanza che l'art. 294 c.p.p., prevede sia per la custodia cautelare (294/1 c.p.p.) che per le altre misure, "coercitive ed interdittive" (294/1-bis c.p.p.) l'interrogatorio dopo l'esecuzione del provvedimento o della sua notificazione. Se si ritiene che la ratio di tale tipo di adempimento imposto al giudice per tutti i tipi di misura cautelare sia ancora quella di dare all'indagato la possibilita' di illustrare le sue difese, non potra' non concludersi che la previsione introdotta con la novella del '97 introduce in un sistema improntato su criteri di razionalita' ed equilibrio non solo un elemento di disarmonia ma anche di irrazionalita', scaturente dalla constatazione della circostanza che la duplicazione dell'adempimento non trova alcuna giustificazione e ragione logica. La disarmonia si riflette anche rispetto alle posizioni degli indagati raggiunti da misure diverse da quelle previste dall'art. 289 c.p.p., anzi rispetto a tali soggetti e' manifesta la disparita' di trattamento lesiva del principio costituzionale di uguaglianza e di difesa: e' evidente infatti che mentre colui che e' sottoposto a custodia in carcere, arresti domiciliari, obbligo di dimora, o sospensione della potesta' o dall'esercizio di funzioni professionali o imprenditoriali gode della possibilita' di interloquire con il g.i.p. attraverso l'interrogatorio solo dopo l'emissione del provvedimento, tale limitazione non e' prevista per il pubblico ufficiale o per l'incaricato di pubblico servizio, categorie per le quali, secondo lo schema attuale delle normativa vigente, la facolta' di chiarire la propria posizione viene concessa sia prima che dopo l'adozione del titolo, venendosi cosi' a creare, come gia' accennato, una duplicazione dello stesso adempimento istruttorio non supportata da nessuna esigenza processuale reale. E ancora, sempre in virtu' della previsione di legge esaminata, si viene a determinare, sempre a favore della stessa categoria, l'indubbio beneficio di apprendere della misura prima della sua emissione, il che, a prescindere dai gia' evidenziati riflessi sulle esigenze cautelari, pone comunque tali indagati in una posizione di maggiore favore rispetto a tutti gli altri, in quanto a quel punto essi sono messi in condizione di interloquire sull'adozione della misura, presentando al giudice istanze, memorie e documentazione tesa a scardinare la ricostruzione del p.m. facolta' che invece restano precluse per tutti gli altri, legittimati ad adoperare tali strumenti solo dopo l'adozione della misura, e cio' si evidenzia paradossalmente anche nel caso in cui la misura coercitiva incida sulla liberta' personale con il massimo dei vincoli, quando cioe', seguendo la logica che dovrebbe aver mosso il legislatore del '97, si sarebbe dovuto evidenziare con maggior pregnanza rispetto al caso di applicazione di semplice misura interdittiva, l'esigenza da parte dell'indagato di essere interrogato dal giudice, potendo in astratto tale strumento fornire allo stesso elementi tali da far venir meno i presupposti per l'applicazione di un provvedimento restrittivo di cosi elevata invasivita'. Quel che in definitiva si mira a sottolineare e' che l'introduzione della norma di cui si tratta determina nell'odierno sistema processuale non solo evidenti e manifeste disparita' di trattamento nell'ambito della categoria degli indagati raggiunti da richieste di provvedimenti cautelari, ma introduce anche all'interno dello stesso un principio non armonizzabile con i criteri che hanno ispirato il legislatore nella redazione delle norme relative alle misure cautelari. Appare pertanto opportuno investire il giudice delle leggi del giudizio sulla conformita' della previsione rispetto ai principi di uguaglianza e difesa previsti agli artt. 3 e 24 della Carta costituzionale, ritenuta la rilevanza della questione rispetto alla decisione da adottare, non potendosi prescindere dall'applicazione della norma, censurata nei profili esposti, rispetto alla soluzione della questione di cui il g.i.p. e' stato investito dal p.m. con la richiesta di applicazione della misura interdittiva nei confronti degli indagati.